Cultura a portata di click

domenica 28 aprile 2013

Postare, bannare, taggare, linkare

Neologismi e tormentoni della nostra lingua

 
 
La nostra lingua è viva Perché si modifica con l'utilizzo: alcune parole cadono in disuso, mentre altre vengono create e ne rinnovano il linguaggio... Il Devoto Oli contiene 500 nuove parole rispetto al precedente, lo Zingarelli addirittura 1200.
 
Su Facebook, dove è possibile trovare gruppi in difesa di tantissime cose, non manca quello per "l'autarchia linguistica", che propone, ad esempio, "mescita" per bar  e "bevanda arlecchina" per cocktail.                                                                                                                                                         
 Ma i neologismi sono difficili da abolire, anche perché la creazione della lingua è anarchica, le parole si autogenerano e si diffondono in modo incontrollabile, sino a diventare termini ufficiali quando entrano nelle pagine dei vocabolari.
L'esigenza di trovare una nuova parola può nascere dalla necessità di denominare nuovi oggetti e nuove operazioni, per dare nuova espressività a un testo o anche solo per essere originali, ma la creazione in sé non garantisce poi il successo nell'uso, che è la condizione indispensabile per la sua affermazione.
La formazione di una parola nuova può avvenire attraverso la composizione di elementi lessicali preesistenti (con prefissi o suffissi, come in antipirateria), mediante il cambiamento di categoria lessicale (participi presenti sostantivizzati: utente, mordente), per spostamento di significato di una parola che già esiste (navigare nel linguaggio informatico), per prestito da un'altra lingua.
 
Se un tempo erano i gerghi e i dialetti a suggerire parole nuove (si pensi a "smandrappato", introdotto da Pasolini nel 1959, e mutuato dal romanesco), ora i nuovi laboratori linguistici sono i quotidiani (ed ecco l'introduzione di parole come "maxiemendamento", "quote rosa", "eurocommissario"), la tivù ( reality, tronista, velina, lampadato) e poi la pubblicità (i vari comodoso, risparmioso, morbidoso), il marketing, l'informatica, Internet e gli strumenti utilizzati online (i blog e i social network), senza dimenticare gli uffici, luoghi in cui i molti contatti e gli aggiornamenti continui generano un flusso di parole che si diffonde con la rapidità delle email.
Molte nuove parole che nascono in questi ambienti sono prestiti da altre lingue, in particolare una delle ultime tendenze è prendere un verbo inglese e, per evitare la fatica di tradurlo, "italianizzarlo" con l'aggiunta di una semplice desinenza verbale (da notare che per la formazione di verbi è attiva solo la prima coniugazione -are). I nuovi termini sono molti, alcuni entrati a pieno titolo nel linguaggio corrente (li usiamo ormai senza rendercene conto), altri sinceramente fastidiosi.

 
Eccone di seguito un breve elenco... Ogni azienda ha una mission, e una volta raggiunta questa, si passa a qualcosa di più impalpabile: la vision. Se hai il know-how, le competenze, e sei skillato, esperto, allora magari sarai upgradato (promosso!).
 
Ci sono il target, la location (per la convention), il brainstorming (più banalmente, la riunione, lo scambio di idee), o il meeting, durante il quale è importante non andare off topic (fuori tema) ed è meglio essere briffati (cioè istruiti).
Il concorrente è un competitor, e per candidarsi a un lavoro, ci si applica (da "to apply") ... Poi si può draftare un documento (farne una bozza), deliverarlo, cioè spedirlo, sharare, condividere informazioni, uplodare, caricare un video o un programma, restartare, riavviare, ma anche ricominciare.
 
E ancora, schedulare (mettere un appuntamento in agenda), updatare (aggiornare), linkare (inserire un link, un indirizzo), l'agghiacciante scannare, che non è roba da serial killer, ma sta per scansionare un documento.
Si aggiungono alla lista gli orridi figli di Facebook e dintorni: loggarsi (connettersi), ovviamente chattare, addare (aggiungere alla lista di amici, da "to add"), taggare (mettere il nome di qualcuno su una foto, in genere a sua insaputa e con un certo sadismo), postare (mettere qualcosa sulla bacheca o "wall"), bannare (eliminare, censurare).
Tutti ne usiamo alcuni e tutti abbiamo le nostre idiosincrasie : la mia amica Elena odia googolare, cercare su un motore di ricerca, specie nella forma gugolare ( consoliamoci, ce l'hanno anche in Germania: googeln), il mio collega Alessandro detesta il trend, mentre io in particolare non sopporto ti quoto, un termine da forum che circola parecchio in Internet, da "to quote", citare, che con uno spostamento di significato è diventato "concordo con te, con le tue idee". Perché non dire sono d'accordo, allora?
 
Sarà pur vero che una lingua è tanto più viva quanti più termini importa o inventa, ma non vorrei trovarmi a chiamare "doggo" il mio cane. Anzi, peggio: immaginate un tizio che si dichiara dicendovi "ti lovvo!"... "nella misura in cui" è ormai defunto da anni e anche il "piuttosto che" non avversativo è stato bandito con un "ovvero": per fortuna che le mode effimere tramontano presto e me lo auguro di cuore!
 
Ma non sarà il tempo di chiederci quali di questi termini sopravvivranno nell'uso comune/quotidiano e se la nostra lingua potrà ri-tornare alla "purezza" di un tempo?
Ai posteri l'ardua sentenza!
Paola Chirico
Trainer Formazione Hr
 


Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...